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Aprire un temporary store: le regole

Quali sono le regole per aprire un temporary store? I cosiddetti pop-up store possono essere preziosi per lanciare nuovi prodotti o nuovi servizi, per proporre promozioni eccezionali e via dicendo. Queste aree vanno progettate ad hoc per attirare il più alto numero di visitatori, tenendo però sempre in considerazione che si parla di strutture temporanee, che spuntano dal nulla e che ritornano nel nulla in poco tempo: da qui la necessità di segnalarle efficacemente con bandiere pubblicitarie, di arredarle con arredi economici ma performanti – come i mobili in cartone e gli espositori personalizzabili – e via dicendo. Ma quali sono le regole per aprire un temporary store senza rischiare multe?

Cosa è un temporary store?

Prima di passare all’analisi delle normative, ricordiamo brevemente cosa è un temporary store. Questo termine viene usato per indicare i negozi temporanei, destinati a durare per un periodo compreso tra poche settimane e pochi mesi. Tutto sta quindi nell’individuare una location ideale, caratterizzata da un grande passaggio di pubblico a target, e impostare un pop-up store rispondente a un preciso business plan. Con il temporary store, del resto, non c’è davvero limite alla fantasia: piccolo o grande, a forma di negozio classico oppure con le sembianze di un giardino, di una scatola o di qualsiasi altro oggetto o ambiente, il pop-up store efficace è quello che attrae e che stupisce. Non ci si può però concentrare solamente sulla parte creativa: meglio studiare per bene le regole, a partire da tutti i documenti necessari!

Le regole per aprire un temporary store

Si parte ovviamente dall’occupazione di un’area più o meno grande, tipicamente di proprietà privata. Sarà quindi necessario poter esibire un contratto di locazione – registrato presso l’Agenzia delle Entrate – solitamente di natura transitoria e con una scadenza precisa: gli affitti brevi, per legge, sono quelli con durata uguale o inferiore ai 18 mesi. Si parla quindi, parallelamente alla stesura del contratto di affitto, del pagamento dell’imposta di registro e della tassazione Irpef, la quale però resta responsabilità del locatore (e quindi del proprietario dell’area). Una volta scelta l’area, sarà necessario presentare Segnalazione Certificata di Inizio Attività (la SCIA) al relativo comune.

E per quanto riguarda la questione partita Iva? Chi ne è sprovvisto è obbligato ad aprirne una e a effettuare la famosa iscrizione al Registro delle Imprese. Ma attenzione: questo è obbligatorio solo per gli store che restano aperti per più di 30 giorni. Nel caso di durata inferiore, e di pop-up store stabilmente aperto nel medesimo luogo, è possibile farne a meno. Non va poi dimenticato l’obbligo di iscrizione all’INPS, per il titolare dello store come per gli eventuali dipendenti.

Le cose sono leggermente più complicate per chi intende vendere prodotti alimentari. Se infatti tutti i commercianti devono soddisfare i requisiti di natura morale riportati all’articolo 71, comma 1, D.Lgs. n. 59/2010, nel settore alimentare è invece d’obbligo soddisfare almeno una tra queste tre condizioni: aver lavorato nel settore alimentare almeno per due anni nel quinquennio precedente; aver frequentato un corso professionale per la somministrazione, per la preparazione o per la vendita di alimenti; possedere un diploma o un titolo di laurea nel campo alimentare.